IL FRATELLO COME UN DONO

Forse pochi mesi di convivenza non sono sufficienti per lasciar sedimentare quanto vissuto con l’arrivo di Riccardo e Matteo. Tuttavia, volgendosi al termine la nostra esperienza, questo è il tempo che ci è dato per trarne qualche insegnamento.

Nei primi mesi del progetto abbiamo sin da subito costruito un clima di confidenza e consegna reciproca che l’arrivo di nuovi fratelli avrebbe certamente scombinato. Avevamo i nostri ritmi, i nostri schemi… Ecco allora scattare i meccanismi di difesa: paura di stravolgere le relazioni impostate, di non sentire più “nostro” quello che avevamo costruito. Poi è sorta la domanda: “Anche se fosse – e sarà di certo – sarebbe  davvero un peccato?”. Stare in questa domanda ci ha permesso di godere di nuove scoperte . A partire dai tempi di condivisione. Tanto ci eravamo preoccupati dei tempi stabiliti, che non ci eravamo resi conto della possibilità di ampliarli a momenti meno canonici.

 

Stando sempre tra di noi (e la pandemia ha in un certo senso imposto questa condizione) abbiamo corso il rischio di “esclusivizzare” la nostra relazione, ma l’arrivo dei nuovi fratelli ha smascherato l’inganno: il fratello non è un nostro possesso, e perciò è donato. Pensare che la relazione sia esclusiva equivale ad affermare: “È mio”. Non è così. Scoprire il contrario ci ha donato maggiore fiducia sulla possibilità di costruire nuove relazioni al di fuori di questa comunità, una volta che la nostra esperienza si sarà conclusa. Come a dire che le relazioni possono essere diverse, ma le basi buone sono sempre le stesse.

Ciascuno di noi è entrato in questo progetto con i propri interessi e obiettivi e questo aveva in qualche modo impostato la routine: vederla scombinata ha significato, e di questo non ce ne eravamo resi conto prima del loro arrivo, vederla arricchita, non distrutta. Infatti Riccardo e Matteo hanno donato nuovi stimoli, in virtù del loro essere unici. In tal senso,  un aspetto che abbiamo scoperto nella vita fraterna è la specificità e pluralità dei modi con cui ci si entra: non ce n’è uno, o uno migliore di un altro, ma una coralità di punti di vista (o più in generale di vissuti) da accogliere nel complesso.

Quello che di buono possiamo aver costruito insieme, non sarebbe rimasto tale se non fossimo stati disposti a metterlo in discussione: esserci dati questa possibilità ci ha permesso di sperimentare come il Signore non nega le esperienze vissute, ma le rinnova.

Agostino, Cesare e Fabio

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