RITORNO ALLE ORIGINI Settimana vocazionale – 5 giorno

Questa mattina paghiamo in un colpo solo, senza possibilità di appello, tutte le mattine precedenti in cui noi del gruppo di Ampezzo facevamo colazione con calma, mentre quelli del gruppo di Raveo avevano fatto tutto di fretta ed erano già partiti per poterci raggiungere in tempo per l’inizio delle attività. Oggi la nostra sveglia suona alle 5.30: si parte per Sappada (che, malauguratamente, è sulla strada di Raveo). Il don ci ospiterà per un giorno e mezzo nello chalet a 1600 mt, sulle montagne del paese dove è nato, in cui organizza i campi scuola per i ragazzi.

Là il telefono non prende non c’è la corrente elettrica.
Una volta ricongiunti i gruppi, prima di proseguire, c’è spazio per i saluti e gli auguri al grande festeggiato di giornata: fra Ivano. Lui ci abbraccia uno ad uno come solo lui sa fare, con quella stretta che ti trasmette immediatamente la gioia di incontrarti.
Ripreso il viaggio, dopo aver superato Sappada, per arrivare allo chalet ci aspetta un lungo tratto di tornanti, che ci mettono in guardia sugli effetti dei pasti pantagruelici di questi giorni: infatti, per poter superare il punto più ripido, è stato necessario che scendessimo dal furgone, evidentemente appesantito oltre misura.
Quando finalmente passiamo l’ultima curva, si apre davanti a noi un paesaggio da rimanere a bocca aperta.

Lo chalet è circondato ai due lati da maestose montagne dalle tipiche fattezze dei massicci dolomitici, in cui da un lieve pendio improvvisamente si alzano pareti o corni di roccia che corrono veloci verso il cielo. Queste sono il monte Lastroni, sulla destra e il monte Chiadenis, sulla sinistra.
Sotto lo chalet poi passa niente di meno che il Piave, che ha le sue sorgenti 2 km più su e che qui ha ancora le forme del piccolo torrente.

Ma ci aspetta un compito ben più duro che la contemplazione di questa meraviglia. Il don, infatti, ci fa notare che ci sono dei tronchi caduti sull’altra riva e che bisogna renderli utilizzabili togliendo loro i rami e scortecciandoli. E allora ecco che compaiono gli strumenti del mestiere: la motosega, lo scortecciatore (in pratica, un pela patate per alberi) e il rampino (una specie di piccone uncinato, che serve per fare presa sui tronchi e poterli poi trascinare o spostare).

Ci mettiamo tutti all’opera con grande impegno, contenti di imparare questo nuovo lavoro. Per noi di città è anche l’occasione per riprendere contatto con la terra, toccando con mano i suoi frutti e traendone il necessario per vivere, in un processo che è veramente ecologico.
Dal sorriso di fra Ivano, mentre taglia i rami con la motosega insieme al don, sembra che non potesse ricevere più bel regalo di compleanno. Dopodiché i tronchi vengono arpionati e spostati in una posizione più agevole. Al ché vengono scortecciati.
Alla fine delle operazioni siamo tutti abbastanza provati, ma soddisfatti. E allora quale miglior reintegratore di energie di un pranzo di fra Tullio a base di specialità carniche?

In tavola ci sono il frico (che oramai conoscete), rigorosamente accompagnato dalla polenta, e gli gnocchi con la ricotta affumicata, tipica di queste zone, grattugiata sopra.
Anche il dolce per i festeggiamenti è tipico di queste zone: la gubana; un dolce a pasta lievitata, ripieno di noci, uvetta, pinoli e grappa.

Il brindisi è accompagnato da cori Padovani e si respira un allegria vibrante, data dalla gioia di essere tutti insieme a condividere questo momento.
Dopo un po’ di riposo per assimilare il lavoro della mattina e il pranzo, nel pomeriggio abbiamo meditato altri due capitoli della Christus Vivit guidati, questa volta, da fra Daniele.

Avere la possibilità di meditare immersi nella natura, addentrandosi nel bosco per sentieri, oppure semplicemente seduti su un sasso in riva all’acqua del fiume, ha sicuramente aiutato a scendere dentro sé stessi, per poter ascoltare quello che la Parola ha fatto risuonare in noi.
Uno dei due capitoli su cui ci siamo soffermati, il VI, riguardava, neanche a farlo apposta, le radici. Di radici, infatti, ha parlato don Piero durante l’omelia.
Siamo andati a celebrare la messa in una piccola cappellina proprio alle sorgenti del Piave, sotto l’imponente monte Peralba.

Il don ha ricordato le persone che abitavano quelle zone ai tempi, quando lui faceva il pastore e tante famiglie avevano una stalla e gli affidavano i loro animali. D’estate lui non andava in vacanza con gli altri ragazzi del seminario, ma tornava al suo paese per lavorare e pagare i suoi studi e quelli dei suoi fratelli. Il don ha anche ricordato il suo più caro amico, Massimo Kratter, di cui è presente una foto nella cappellina e che è morto proprio sul Peralba. E suo nipote, anche lui vittima della montagna. Profondamente commosso, ha detto che tutti i loro volti li rivede presenti durante il momento dell’eucarestia, nella comunione dei Santi.

Quando è finita la messa, è stato come fare un salto indietro nel tempo, perché è calata la sera e ci siamo dovuti misurare con l’assenza dell’elettricità.
In primis fra Tullio, che si è dimostrato chef senza frontiere, pronto a sfidare qualsiasi ostacolo pur di donarci ciò che lo appassiona e gli dà gioia, sempre con un sorriso limpido e sereno. Si è messo una pila in fronte e ridendo si muoveva per la cucina come se fosse un minatore.

E poi noi, che abbiamo preparato una tavolata a lume di candela che, invece di creare disagio, ha dato un tocco ancora più caldo al nostro stare insieme.
E un altro calore, quello del fuoco, ha riscaldato la serata dopo cena, quando ci siamo messi tutti in cerchio attorno al falò ad ascoltare i racconti del don e alcuni canti eseguiti per noi in anteprima dalla nostra corale Padovana.

Il don ha concluso recitando a memoria il “laudato sii” di san Francesco, la migliore celebrazione di tanta bellezza che abbiamo visto in questa giornata.

Luca

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